Capitini opera aperta. Un bilancio per continuare

Il 19 ottobre 1968 moriva a Perugia Aldo Capitini. Nel cinquantesimo anniversario della morte, proprio a Perugia e in Umbria si è sviluppato un processo non rituale, non astrattamente celebrativo, di riavvicinamento alla figura e all’opera di Capitini, per riascoltarne la voce e confrontarsi oggi con i suoi temi straordinariamente attuali. Progettato nei primi mesi del 2016, il processo ha preso forma nel corso del 2017 e ha prodotto nel 2018 un programma ricco di iniziative e attività di cui è possibile tracciare un primo bilancio, non “a futura memoria” ma come apertura dell’esperienza a ulteriori sviluppi.

Il 9 marzo 2016 tre persone (Giovanna Giubbini, direttrice dell’Archivio di Stato di Perugia, Marco Pierini, direttore della Galleria Nazionale dell’Umbria, e io, autore con Marcello Rossi di un libro-itinerario per ripercorrere cronologicamente la storia umana, intellettuale e politica di Aldo Capitini, Un’alta passione, un’alta visione. Scritti politici 1935-1968 (Firenze, Il Ponte Editore, 2016), invitarono una ventina di altre persone di Perugia, studiosi, amministratori, operatori culturali, tutti più o meno legati alla memoria di Aldo Capitini, nel suo “studiolo ritrovato”  nell’appartamento che aveva abitato con la sua famiglia, fino al 1956, sotto la torre campanaria del palazzo comunale di Perugia e che era stato cancellato da pareti in cartongesso alla fine degli anni sessanta. Agli invitati proponemmo tre idee progettuali da realizzare insieme nel 2018, nell’anno cinquantesimo anniversario della morte di Capitini: la digitalizzazione e pubblicazione on-line del suo archivio depositato presso l’Archivio di Stato di Perugia; il recupero strutturale dell’appartamento nel palazzo comunale, per farne un luogo della memoria; l’edizione di opere di Capitini, iniziando da quelle non più disponibili nel mercato editoriale. Proponemmo che intorno a questi tre obiettivi concreti si sviluppasse un processo di nuovo ascolto della voce di Capitini, nella maniera più diretta. Il metodo seguito per sviluppare il processo è stato il continuo reinvestimento di ogni iniziativa successiva (presentazioni di libri, incontri con associazioni, seminari…) nell’unico obiettivo veramente centrale: confrontarsi oggi con l’attualità politica dei suoi temi: la socialità come pratica relazionale tra il tu (oltre le chiusure e i limiti dell’ego) e i tutti, in una «realtà liberata» (qui e ora), dai condizionamenti economici, sociali e culturali; la conflittualità con la realtà esistente, per una sua profonda e radicale trasformazione; la rivoluzione nonviolenta come arma più potente della violenza del potere; l’omnicrazia, il potere di tutti, come sviluppo storico, teorico e pratico, della democrazia inattuata e del socialismo libertario; la compresenza tra i tutti, nel presente e nel passato, viventi e morti, umani e animali, nella creazione dei valori etici, religiosi e politici, per «aprire la Storia»; la questione umana come questione centrale del “potere” nelle società.

In un bilancio contano certamente i risultati, ma è altrettanto importante la qualità del processo che li include per svilupparsi ulteriormente, in avanti, «di più», come raccomandava Capitini a se stesso e ai suoi compagni di avventura. E a cosa serve la digitalizzazione dell’archivio, che finalmente sarà a disposizione di tutti, se non a sollecitare una nuova stagione di studi? E a cosa serve il recupero di un luogo della memoria di Capitini inserito nell’ordinario percorso di visita della Galleria Nazionale dell’Umbria, se non a suscitare interesse e curiosità per la sua esperienza, per le sue idee? E a cosa serve la riedizione delle sue opere, soprattutto di quelle rimosse per ragioni culturali e politiche, se non a ridare voce a Capitini, a riascoltare il suo linguaggio empatico e poetico in cui la forma è tenacemente coerente con i movimenti di un pensiero che vuole «far pensare», in «colloquio» con chi legge? I tre obiettivi che avevamo proposto il 9 marzo 2016 possiamo considerarli raggiunti: l’inventario e una prima parte dell’archivio di Capitini sono on-line, e la digitalizzazione dell’intero archivio sarà completata nei prossimi anni; al pieno recupero dell’appartamento di Capitini nel palazzo comunale manca soltanto il nuovo allestimento della “sala dell’orologio”, che avverrà nei prossimi mesi; nella nuova collana «Opere di Aldo Capitini», coedizione tra Il Ponte Editore, Fondo Walter Binni, Fondazione Centro studi Aldo Capitini, sono già usciti nel 2018 i primi tre volumi (Antifascismo tra i giovani, Nuova socialità e riforma religiosa, La compresenza dei morti e dei viventi), e altri tre seguiranno nel 2019: due volumi di Educazione aperta e un volume in cui raccogliere gli scritti di critica dell’istituzione cattolica.

Nel corso del processo (totalmente autofinanziato da chi ha proposto e realizzato iniziative) si sono aperte, nel corso del 2017 e del 2018, altre direzioni di lavoro. Innanzitutto nel mondo della scuola, con una prima attenzione alle scuole secondarie superiori: un concorso (non competitivo, ma per “correre insieme”) preparato da un corso di formazione per insegnanti gestito dall’Istituto per lo Studio dell’Umbria Contemporanea in collaborazione con l’Ufficio scolastico regionale, ha coinvolto circa 600 studenti di Perugia e di altre località dell’Umbria, producendo un ampio caleidoscopio di elaborati oggi restituiti dalla pubblicazione In colloquio con Aldo Capitini, a cura dell’Isuc e dell’Archivio di Stato. Il concorso «La mia nascita è quando dico un tu. Alla ricerca di Aldo Capitini» ha avviato negli insegnanti e negli studenti processi di conoscenza di un autore noto ma sostanzialmente sconosciuto, e soprattutto di confronto attuale con i suoi temi. Molto si è messo in movimento anche in situazioni “territoriali”: in alcune situazioni l’esperienza dei Centri di Orientamento Sociale sperimentati da Capitini in Umbria e in altre realtà italiane  nell’immediato dopoguerra, e da lui rilanciati negli anni sessanta come strumenti di “potere dal basso”, sembra poter orientare nuove progettualità di organizzazione sociale e politica.

E questo è il risultato politico più importante del processo in corso: il riconoscimento della centralità della questione del potere nella prospettiva capitiniana del «potere di tutti». La chiave di accesso alle/ai giovani si è dimostrata proprio questa: il potere personale, lo sviluppo del proprio potenziale umano, e le due alternative della chiusura egoica oppure della relazione con gli altri per costruire un «potere di tutti». Dal riconoscimento del potere dei singoli (e Capitini ci ha insegnato a scendere in verticale nella complessità delle singole persone), che ognuna e ognuno può costruire e sviluppare in sé, può nascere la coscienza della relazione necessaria con altri , per costruire insieme una «realtà di tutti» che richiede e permette una visione alta e orizzontale sulla realtà e sul mondo.

In conclusione (ma solo per aprire nuovi ragionamenti): con la sua «complessità aperta», in cui tutto si tiene e tutto si apre, Capitini ha sperimentato e ci ha consegnato un metodo di conoscenza e trasformazione della realtà nei suoi molteplici piani (individuali, sociali, culturali e politici), per attraversarla in ogni direzione, per superarne i limiti. La sua tensione al libero sviluppo del potenziale umano, di ognuna e ognuno di noi, attraverso una personale autoformazione e un continuo confronto relazionale con “l’altro”, superando gli angusti confini e le chiusure di un ego individualistico per entrare nel mare aperto dei «tutti», della creazione comune di una realtà liberata (qui e ora) dai condizionamenti economici, sociali e culturali, ha aperto un grande laboratorio collettivo in cui procedere per esperimenti.

Capitini ha insegnato il valore centrale dell’esperienza e della necessaria coerenza tra teoria (le conoscenze conquistate, nel presente e nel passato) e pratica sociale (la nostra vita di relazione, i nostri progetti di trasformazione); la conoscenza e la trasformazione della realtà sono processi, e gli esperimenti sono azioni concrete che permettono di vedere ed elaborare i cambiamenti.

È stato ed è un esperimento anche il processo avviato da poche persone e sviluppato oggi da molti, in feconda cooperazione, per ridare voce a Capitini nel cinquantesimo anniversario della sua morte, e soprattutto per ascoltarla e ritrovarne il senso. Capitini è stato riportato nel suo appartamento, nel luogo più elevato della sua città. Il suo archivio, una vera miniera per gli studiosi, sarà accessibile a tutti. I suoi libri “scomparsi” ricominciano a svolgere la loro funzione. Ma soprattutto le sue idee, in una fase decisiva della nostra storia che richiede pensieri e azioni per creare e organizzare società di tutti, cominciano di nuovo a orientare i pensieri e la pratica sociale di molti.

Nella marcia Perugia-Assisi del 7 ottobre, nelle folle di giovani, anziani, bambini, donne e uomini di ogni età, nativi e migranti, Capitini è stato molto presente, nei modi più diversi: è stato presente nelle parole di alcuni politici locali (il sindaco di Perugia, Andrea Romizi, la presidente della Regione, Catiuscia Marini), nelle riflessioni di pacifisti di lunga data, nella curiosità dei più giovani che alla Rocca di Assisi, come atto finale della marcia, hanno visto alzare una gigantografia della prima marcia del 1961: nella fotografia, sul palco sta parlando Renato Guttuso, alla sua sinistra Capitini ascolta e guarda le migliaia di persone, così simili e così diverse, che grazie al suo impegno tenace si sono riunite in assemblea per assumere decisioni importanti, collettive, di lotta la pace e la fratellanza dei popoli. Sopra la gigantografia, sollevata dall’organizzatore della marcia di quest’anno e di tante altre che l’hanno preceduta, Flavio Lotti, circondato da giovani ragazze e ragazzi, da bambine e bambini, una scritta: «Grazie Aldo Capitini». Una gratitudine riconosciuta da un’area culturale, quella cattolica, presenza dominante nella marcia, tradizionalmente estranea se non ostile al “libero religioso” e “rivoluzionario nonviolento” Capitini, ma che oggi si trova a condividere – con urgente coscienza dei pericoli che corre l’umanità – i bisogni di radicale alternativa che agitano le coscienze delle moltitudini. E non è un segno secondario che l’organizzazione della marcia abbia diffuso un nuovo numero (provocatoriamente: Anno LV, ottobre 2018) del giornale più politico di Capitini, «Il potere è di tutti», morto con lui nel 1968, realizzato congiuntamente dal comitato «Aldo Capitini 2018» (un comitato “di rete”, orizzontale, più di persone che di sigle ed enti di appartenenza, e anche questa è un’esperienza positiva) e dalla «Tavola della Pace». Convergenze, incontri, nuove relazioni. Si cercano persone.

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